ED McBAIN
LUNGO VIAGGIO SENZA RITORNO
(Ten Plus One, 1963)
I
In una bella giornata di primavera la gente non pensa alla morte.
È l'autunno il tempo adatto a morire, non la primavera. L'autunno stimola i pensieri lugubri, invita alle fantasie macabre, favorisce i desideri di morte, con lo spettacolo malinconico del declino della natura. L'autunno ha una sua poesia funerea e, come l'inferno, sa di cenere e fango. Muore tanta gente, in autunno. Tutti i giorni.
Invece, in primavera non è permesso morire. C'è una legge apposta. Dice: "Codice Penale, art. 5006 Morte in primavera: Chiunque progetti di morire, o causi il morire di altri, o nutra pensieri attinenti alla morte durante il periodo dell'equinozio di primavera, è considerato colpevole di un crimine punibile con..." eccetera. Tra il 21 marzo e il 21 giugno, la morte è assolutamente proibita. Ma c'è sempre qualcuno che infrange la legge; perciò, cosa volete farci?
L'uomo che uscì dal palazzo d'uffici sulla Culver Avenue era sul punto di violare la legge. In generale si poteva dire di lui che era un buon cittadino, un lavoratore, un marito fedele, un padre affettuoso eccetera, eccetera. In lui non c'era alcuna intenzione di violare la legge. Però non sapeva che la morte era proibita dalla legislatura vigente, e anche se l'avesse saputo non se ne sarebbe preoccupato, perché in quella smagliante giornata di primavera l'idea della morte e del morire era lontanissima dalla sua mente.
In realtà, l'uomo nutriva pensieri di vita. Stava pensando che la prossima settimana avrebbe compiuto gli anni. Quarantacinque, ma non si sentiva di un solo giorno più vecchio di trentacinque. Stava pensando che i fili grigi alle tempie aggiungevano un tocco di distinzione alla sua nobile testa, che le sue spalle erano ancora ben dritte, che l'abitudine di giocare a tennis due volte alla settimana aveva eliminato un allarmante inizio di pancetta, e che aveva una gran voglia di fare all'amore con sua moglie, anche se, dopo, non avessero più potuto andare a mangiare da Schrafft, dato che l'appuntamento con lei l'aveva in quel ristorante.
A questo stava pensando quando il proiettile perforò l'aria primaverile roteando vorticoso su se stesso, filando dritto davanti a sé. Era partito dal tetto del palazzo sull'altro lato della strada, e seguì la sua traiettoria digradante sopra i tetti delle macchine e le teste della gente che si godeva la giornata, fino a colpire l'uomo, dritto fra gli occhi.
Nell'attimo in cui il proiettile lo colpì, l'uomo ebbe un solo pensiero, poi il cervello smise di funzionare. Ebbe la sensazione di una punta acuminata contro la fronte, e per un brevissimo istante pensò di essere finito contro la porta di vetro che separava il palazzo dalla strada. Il proiettile passò l'osso, incontrò la massa morbida del cervello, poi gli aprì un foro enorme nella nuca e uscì di lì. I pensieri si fermarono, le sensazioni cessarono, e di colpo fu il nulla. L'urto fece fare all'uomo tre passi indietro, mandandolo a finire quasi addosso a una ragazza vestita di giallo. La ragazza si spostò di lato, e lui cadde, afflosciandosi su se stesso, come una fisarmonica lasciata andare di colpo. I muscoli abituati al tennis si distesero, e l'uomo morì prima di aver toccato terra. Dal buco nella fronte sgorgarono soltanto poche gocce di sangue; ma dal foro nella nuca il denso liquido rosso ancora caldo di vita fluì abbondante, prepotente come un urlo, scivolando lento verso la ragazza che, istupidita dall'orrore, guardava il fiume rosso riversarsi sul marciapiede.
La ragazza ritirò il piede appena in tempo. Un secondo ancora, e il sangue le avrebbe toccato la punta della scarpa.
L'ispettore Steve Carella guardava il corpo disteso sul marciapiede e si domandava come mai non avesse visto nemmeno una mosca quando era uscito dal Distretto dieci minuti prima - e infatti non era ancora stagione di mosche - e invece adesso, mentre lui osservava il morto, il marciapiede fosse coperto di mosche, e ci fossero sciami di mosche nell'aria e altre che ronzavano attorno alla fronte dell'uomo.
— Non potreste coprirlo? — domandò in tono irritato a uno dei medici; e l'uomo in camice bianco si strinse nelle spalle e indicò il fotografo della polizia, intento a infilare nella sua macchina un nuovo rotolo di pellicole, sfruttando l'ombra dell'ambulanza ferma accanto al marciapiede.
Senza alzare gli occhi, il fotografo disse: — Devo farne delle altre.
Carella si allontanò dal cadavere. Era alto e longilineo, aveva i capelli tagliati a spazzola e gli occhi scuri, a mandorla, gli conferivano un aspetto orientaleggiante, accentuato dagli zigomi sporgenti.
Il sole lo colpì in faccia costringendolo a strizzare gli occhi quando lui si diresse verso la ragazza in giallo che parlava con un gruppo di giornalisti e fotoreporter.
— Più tardi, ragazzi — disse Carella, e i giornalisti, insolitamente rispettosi di fronte allo spettacolo della morte, andarono a mescolarsi agli altri curiosi tenuti indietro da un anello di poliziotti.
— Come vi sentite, adesso? — domandò Carella.
— Bene — rispose la ragazza. — Oh, Dio, gente!
— Ve la sentite di rispondere a qualche domanda?
— Sì... sì. Gente, non ho mai assistito a niente di simile in vita mia! Chissà cosa dirà mio marito quando glielo racconterò!
— Come vi chiamate, signora? — domandò Carella.
— Grant.
— Nome...
— Lizanne. Con la zeta.
— Dove abitate, signora Grant?
— In Grover Street al 1142. — La donna fece una pausa. — Dopo la Prima Strada.
— Sì — disse Carella, segnando l'indirizzo sul suo libretto.
— Ve l'ho detto, caso mai pensaste che abiti nel quartiere portoricano — spiegò la giovane.
— No, non l'ho pensato — rispose Carella. Di colpo si sentì stanco. A pochi passi da lì c'era un cadavere coperto di mosche, e una possibile testimone del delitto si preoccupava di chiarire che lei non abitava nel quartiere portoricano. Le avrebbe spiegato volentieri che a lui non importava un bel niente se abitava nel quartiere portoricano, o in quello cecoslovacco, o chissà dove, e ci teneva invece che lei gli dicesse con la massima obiettività e precisione quello che aveva visto accadere all'uomo che ora non aveva più nazionalità. Le lanciò da sopra il libretto un'occhiata, che sperò abbastanza significativa, e poi chiese: — Volete dirmi che cos'è successo?
— Chi è? — domandò la signora Grant, invece di rispondere.
— Non lo sappiamo ancora. Non l'abbiamo perquisito per vedere se ha documenti. Sto aspettando che il fotografo finisca il suo lavoro. Volete dirmi cos'è successo?
— Stavo camminando sul marciapiede quando lui mi è venuto addosso — rispose la ragazza. — Poi è caduto. Io l'ho guardato e ho visto che perdeva sangue. Gente, non ho mai...
— Cosa intendete dire con "mi è venuto addosso"? — interruppe Carella.
— Be'... che mi è venuto addosso. Ha indietreggiato verso di me.
— Era già stato colpito?
— Non lo so, ma credo di sì.
— Ma è caduto all'indietro, o ha barcollato, o cosa — insistette Carella.
— Non lo so. Non lo stavo guardando. Camminavo per la mia strada e a un tratto lui mi è piombato addosso.
— Va bene, signora Grant. E poi cos'è successo?
— Poi è caduto a terra, sulla schiena. Io mi sono scostata, l'ho guardato, e in quel momento ho visto che perdeva sangue.
— Cos'avete fatto?
— Non so che cos'ho fatto. Credo di essere rimasta lì a guardarlo. — La giovane scosse il capo. — Quando lo dirò a mio marito!
— Avete sentito lo sparo, signora Grant?
— No.
— Ne siete sicura?
— Stavo pensando ai fatti miei — rispose la signora Grant — e non mi aspettavo certo che succedesse una cosa simile. Voglio dire che, anche se c'è stato uno sparo, anche se ce ne sono stati sei, io non ho sentito niente. Lui mi è caduto addosso di colpo, poi è scivolato a terra, e io ho visto tutto quel sangue... — La signora Grant fece una smorfia, al ricordo.
— Immagino che non abbiate visto nessuno con un fucile, vero?
— Un fucile? No. Un fucile, avete detto? No...
— So che prima che l'uomo venisse ucciso stavate pensando ai fatti vostri — riprese Carella — ma dopo, signora Grant? Non avete visto nessuno, per caso, alle finestre del palazzo di fronte, o sul tetto di uno qualunque dei palazzi? Non avete notato niente di insolito?
— Non ho guardato in giro — rispose la signora Grant. — Sono rimasta a fissare la sua faccia.
— Quell'uomo non vi ha detto niente, prima di cadere sul marciapiede?
— Neanche una parola.
— E dopo essere caduto?
— Nemmeno.
— Grazie, signora Grant — disse Carella, le sorrise e chiuse il suo libretto.
— Non c'è altro?
— No, grazie.
— Ma... — La signora Grant pareva delusa.
— Cosa volevate dire? — le domandò Carella.
— Ecco... non dovrò venire al processo o all'inchiesta?
— Non credo, signora Grant — rispose Carella. — Comunque, vi ringrazio molto.
— Oh... va bene — disse la donna, ma lo seguì con lo sguardo deluso mentre Carella si allontanava da lei e tornava verso il cadavere.
Il fotografo della polizia stava ancora danzando la sua complicata giga attorno al corpo. Scattava una foto, toglieva la lampadina consumata dal flash, ne inseriva una nuova, e poi, torcendo il busto, piegandosi sulle ginocchia, inclinando la testa di lato, scattava un'altra foto da un altro punto di vista. I due medici stavano in piedi accanto all'ambulanza, a fumare per far passare il tempo e a chiacchierare su un intervento urgente che uno dei due aveva fatto il giorno prima. A un metro da loro, intenti a parlare con un agente di pattuglia, c'erano gli agenti investigativi Monoghan e Monroe, mandati per formalità dalla Squadra Omicidi Nord.
Carella osservò per qualche secondo il fotografo, poi si diresse verso i due della Omicidi.
— Guarda chi si vede — disse. — A cosa dobbiamo l'onore?
Monoghan, col suo soprabito nero e il cappello rigido, nero, pareva un poliziotto dell'epoca del proibizionismo. Si voltò, guardò Carella, poi disse a Monroe: — Ehi, c'è Carella dell'87°! — col tono di chi annuncia un avvenimento del tutto inatteso.
— Ch'io sia dannato, pare proprio lui! — esclamò Monroe. Anche lui indossava un soprabito nero. Il cappello però era floscio e grigio, e il poliziotto l'aveva spinto all'indietro, sulla nuca. Un tic nervoso a un occhio si manifestava come per incanto ogni volta che il suo compagno apriva bocca, quasi che fosse comandato da un meccanismo collegato alle corde vocali di Monoghan.
— Spero che la nostra chiamata non abbia interrotto la vostra cena, o qualcosa di altrettanto importante — commentò Carella.
— Quello che mi piace nei poliziotti dell'87° — ribatté Monoghan, mentre Monroe ammiccava — è che sono sempre pieni di premure per i loro colleghi del Dipartimento.
— E poi sono anche spiritosi — osservò Monroe.
— Mi stupiscono sempre — riprese Monoghan ficcando le mani nelle tasche della giacca, con i pollici fuori, come aveva visto fare da James Mason in un film giallo — la loro premura e il loro umorismo.
— Anch'io ne sono sempre sbalordito — fece eco Monroe.
— Chi è il cadavere? — domandò Monoghan.
— Non lo so ancora — rispose Carella. — Sto aspettando che il fotografo abbia finito.
— Ho sentito dire che quando smonta dal servizio quello va a fotografare le ragazze in costume da bagno — disse Monroe.
— Se ti sembra serio! — commentò Monoghan. Poi riprese: — Allora, che novità ci sono, Carella? Come sta il capo? E i ragazzi?
— Tutti bene — rispose Carella.
— State lavorando su qualcosa di interessante?
— Questo, prevedo che sarà interessante — rispose Carella.
— Eh, sì, quando ci sono di mezzo i cecchini, è sempre roba di prima qualità — approvò Monoghan.
— Una volta abbiamo avuto un caso simile — disse Monroe. — Io ero appena stato nominato agente investigativo, ed ero in forza al 39°. Il nostro cecchino ammazzava solo le vecchie signore. Le vecchiette erano la sua specialità. Le faceva fuori con una quarantacinque. Che tiratore! Vi ricordate Mickey Dunhill?
— Sì, me lo ricordo — disse Monoghan.
— E tu te lo ricordi? — domandò Monroe a Carella.
— No. Chi è?
— Un agente investigativo di primo grado, anche lui nel 39°. Piccolo e magro, ma forte come non ne ho mai visti. Si è vestito da vecchia. È stato così che abbiamo beccato il cecchino. Lui se l'è presa con Dunhill, e Dunhill, tirata su la sottana, gli è corso dietro e per poco non l'accoppava.
— Sì, me lo ricordo — disse ancora Monoghan.
— Quando l'abbiamo avuto tra le mani, abbiamo cercato di scoprire perché se la prendeva con le vecchie. Ci eravamo messi in mente che fosse una specie di Edipo. Ma...
— Una specie di... cosa? — domandò Monoghan.
— Di Edipo — ripeté Monroe. — Era un re greco che se la faceva con sua madre.
— Ma è contro la legge! — protestò Monoghan.
— Lo so. Comunque, pensavamo che il nostro sparatore fosse una specie di maniaco. Gli abbiamo chiesto perché uccidesse le vecchie, e non per esempio i vecchi.
— E allora? — domandò Monoghan.
— Non ce l'ha detto.
— Be', è tutta qui la tua storia?
— Come sarebbe a dire? C'era uno che ammazzava le vecchie, e noi l'abbiamo preso. Cosa vuoi di più? — protestò Monroe.
— Va bene, lasciamo perdere. E l'altro? — domandò Monoghan.
— Quale altro?
— Il re greco — disse Monoghan.
— Quale re greco? — domandò Monroe.
— Ma non l'hai detto tu, che c'era un re greco?
— Vai all'inferno! Quello non c'entra! È una leggenda — spiegò Monroe.
— Allora è diverso — ammise Monoghan.
— Be', credi di aver bisogno di noi? — domandò Monroe a Carella.
— Direi di no — rispose Carella. — Vi farò avere una copia del rapporto.
— Sai cosa dovresti fare? — disse Monroe. — Vesti da donna quel rosso che avete al Distretto. . come si chiama?
— Cotton Hawes — rispose Carella.
— Ecco, quello. Vestilo da vecchia. Può darsi che sia fortunato come Dunhill.
— Già. Solo che il nostro tiratore, a quanto pare, preferisce gli uomini di mezz'età — obiettò Carella.
Monoghan si voltò a guardare il cadavere. — Non deve aver avuto più di quarant' anni — commentò.
— Da quando uno di quarant'anni è di mezz'età?
— Volevo dire giovanotti — si corresse Carella, sorridendo.
— Così va meglio — disse Monoghan. — A proposito del rapporto, mandacene due copie. Abbiamo un nuovo regolamento.
— Due copie? Mi vuoi morto!
— Non li faccio io, i regolamenti — brontolò Monoghan.
— Ma no! Cosa mi dici mai! — esclamò Carella, fingendo sorpresa.
— Ci risiamo! Avresti fatto fortuna come comico! Mandaci due copie, Carella, e vedremo chi riderà per ultimo.
— Forse ho già trovato l'assassino. Dev'essere stato quel re greco di cui parlava Monroe — disse Carella.
— Perché no? Per me, uno che va a letto con sua madre è capace di tutto — ribatté Monoghan.
— Sono d'accordo — commentò Carella, e sorridendo salutò i due poliziotti, e si accostò al fotografo, che stava riponendo la sua attrezzatura. — Avete finito? — gli domandò.
— Sì, potete accomodarvi.
— Vorrei avere qualche copia di quelle fotografie.
— Va bene. Dove devo mandarle?
— All'87°.
— D'accordo — disse il fotografo. — Come vi chiamate?
— Carella. Steve Carella.
— Domani avrete le copie — promise il fotografo. Poi guardò la macchina che in quel momento accostava al marciapiede, sorrise divertito e commentò: — Siete sistemato.
— Cosa c'è? — domandò Carella.
— Sono arrivati i ragazzi del laboratorio. Adesso dovrete aspettare finché non avranno finito anche loro.
— Voglio solo scoprire chi è il morto — disse Carella, e andò incontro ai due tecnici della Scientifica.
II
Carella aveva scoperto chi era il morto frugando nel suo portafogli. Adesso lo aspettava il compito più ingrato.
L'uomo si chiamava Anthony Forrest, e sulla patente risultava che era domiciliato al numero 301 di Morrison Drive, che era alto un metro e settantadue, e che aveva gli occhi azzurri. Nel portafogli c'erano sei tessere di riconoscimento tutte intestate ad Anthony Forrest: quella del "Diners' Club", una della "Gulf Oil Corporation", la terza della "Mobil Oil Company", e altre tre di uguale importanza. C'era anche un biglietto di visita per uso professionale, che oltre al suo nome portava la denominazione della ditta, la "Indian Exports, Inc.", e l'indirizzo: Culver Avenue n. 580. L'indirizzo cioè del palazzo davanti al quale l'uomo era stato ucciso. Il biglietto di visita gli conferiva anche il titolo di vicepresidente, e indicava il numero di telefono della ditta: Frederick 7-4100. Nel portafogli vi erano altre carte e biglietti, e nella patente Carella trovò una banconota da cinque dollari, evidentemente messa lì in previsione di qualche multa. Nello scomparto riservato al denaro c'erano settanta dollari in contanti: tre biglietti da venti, uno da cinque, e cinque da uno. Carella trovò la fotografia nello scomparto centrale.
La donna dimostrava trentacinque anni circa, aveva i capelli biondi e gli occhi luminosi e vivaci. A Carella parve che lo guardasse dalla custodia di celluloide, con un sorriso felice. Insieme con la foto della donna ce n'erano tre, di tre ragazzi, una femmina e due maschi, tutti biondi come la donna e con gli stessi occhi chiari. I maschi dovevano essere sui dieci anni, la ragazza ne dimostrava quindici o sedici.
Carella sospirò e chiuse il portafogli.
Il regolamento della polizia pretende che i cadaveri vengano identificati, e di solito l'identificazione viene richiesta a un consanguineo del morto, se non altro perché quelli della polizia sappiano se stanno cercando l'assassino di John Smith o quello di John Doe. A giudicare dalle fotografie trovate nel portafogli, sembrava che Anthony Forrest avesse una moglie e tre figli, quindi adesso qualcuno doveva andare a casa della vittima, aspettare che gli venisse aperta la porta, affrontare la moglie e i figli, e dire loro che Anthony Forrest, marito e padre, era morto.
Quel qualcuno fu Steve Carella.
La ragazza che aprì la porta del numero 301 di Morrison Drive era la stessa che Carella aveva visto sorridente in una delle fotografie. La foto trovata nel portafogli era però stata presa qualche anno prima, perché adesso la ragazza dimostrava almeno diciannove o vent'anni. I capelli non erano così biondi come gli erano sembrati, ma lo sguardo vivace degli occhi azzurri era il medesimo.
Sorrise educatamente a Carella e disse: — Cosa desiderate?
— Siete la signorina Forrest? — domandò Carella.
— Sì — rispose la ragazza, un po' confusa davanti allo sconosciuto.
— Sono l'ispettore Carella dell'87° Distretto — disse Carella. Poi s'interruppe, e senza esserne stato richiesto mostrò la sua tessera di identificazione e il distintivo della polizia, poi si schiarì la voce. La ragazza aspettava che lui dicesse qualcos'altro. — Posso parlare con vostra madre?
— Non c'è — rispose lei.
— Sapete dove posso trovarla?
— È uscita perché doveva incontrarsi con mio padre. Stavano fuori a cena. Perché volete parlarle?
— Oh... — disse Carella, e di colpo la ragazza intuì qualcosa. Fino a quel momento era soltanto rimasta imbarazzata dalla sua visita, ma il modo in cui lui aveva pronunciato quell'"Oh..." la mise in allarme. Sbarrò gli occhi, fece un rapido passo in avanti e domandò: — Cos'è successo?
— Posso entrare? — domandò Carella.
— Sì... sì, certo. — Ma non arrivò oltre l'anticamera. — Cos'è successo? — ripeté.
— Signorina Forrest — cominciò Carella, poi esitò, domandandosi se era il caso di dirlo a quella ragazza, se lei era abbastanza matura per ricevere la notizia da un estraneo, e se non fosse invece più opportuno tentare in ogni modo di raggiungere la signora Forrest, perché lui doveva dare la notizia a qualcuno. — Non sapete dove vostra madre doveva incontrarsi con... vostro padre?
— Sì. Da Schrafft — rispose la ragazza. — Non so se avevano intenzione di cenare in quel ristorante, ma è lì che avevano un appuntamento. Ma... per favore, volete dirmi di che cosa si tratta?
Carella la guardò in silenzio per un tempo che parve lunghissimo. Poi, molto gentilmente, le disse: — Signorina Forrest, vostro padre è morto.
La ragazza si allontanò di scatto da lui. Lo fissò un attimo, poi sorrise in modo innaturale, e poi il sorriso le sparì dalle labbra, lei scosse il capo e disse: — No.
— Sono desolato — mormorò Carella.
— Deve esserci un errore. Papà doveva incontrarsi con la mamma per...
— Temo che non ci siano errori, signorina — interruppe Carella.
— Ma... ma... Come fate a saperlo? Voglio dire che... Per l'amor del cielo, ditemi cos'è successo.
— Gli hanno sparato.
— A mio padre? — domandò lei incredula. Scosse ancora la testa. — Sparato, avete detto? State scherzando?
— Mi dispiace, signorina, ma purtroppo non sto scherzando — rispose Carella. — Vorrei rintracciare vostra madre. Posso servirmi del vostro telefono?
— Sentite... Quello che avete detto è... è impossibile. Mio padre si chiama Anthony Forrest. Sono certa che avete...
Carella le mise delicatamente una mano su un braccio. — Signorina Forrest — disse — l'uomo che è stato ucciso aveva i documenti di identità. Abbiamo quindi la ragionevole certezza che si tratti di vostro padre.
— I documenti?
— Erano nel portafogli — spiegò Carella.
— Qualcuno gliel'avrà rubato! — esclamò la ragazza. — Capita spesso che rubino il portafogli. L'uomo che è stato ucciso aveva in tasca il portafogli rubato a mio padre, perciò voi avete creduto...
— Cosa c'è Cindy? — gridò una voce giovanile, dal piano superiore.
— Niente, Jeff — rispose la ragazza.
— Signorina Forrest, dovrei mettermi in comunicazione con vostra madre — riprese Carella.
— Perché? Per spaventare inutilmente anche lei?
Carella non rispose. Guardò la ragazza senza parlare. Aveva gli occhi pieni di lacrime, lui le vedeva benissimo, ma la ragazza riuscì a trattenerle, poi disse: — Telefonate pure. Ma sarà meglio per voi che non abbiate fatto uno sbaglio, perché... — Le lacrime adesso velavano le iridi azzurre. — Il telefono è là — riprese, e mentre lui la seguiva in salotto, la ragazza aggiunse: — Sono sicura che non è mio padre. — Una risata falsa le gorgogliò in gola. — Figuriamoci se mio padre si fa sparare! — disse ancora.
Carella prese la guida del telefono, e cercò il numero del ristorante Schrafft. Stava cominciando a comporre il numero, quando la ragazza gli fermò la mano.
— Sentite... — gli disse.
Lui alzò gli occhi.
— Sentite... — ripeté lei, e di colpo le lacrime cominciarono a rotolarle giù sulla faccia, non più trattenute. — La mamma non è molto forte... Vi prego... quando glielo direte... Per favore, volete dirglielo con cautela che... che mio padre è morto? Per favore...
Carella fece di sì col capo e compose il numero.
Clara Forrest aveva trentanove anni, era snella, e un ricamo di rughe le circondava gli occhi e la bocca.
In silenzio seguì Carella all'obitorio, la faccia irrigidita nell'espressione curiosamente ostile di chi ha saputo di essere stato toccato dalla morte. Aspettò in silenzio, mentre l'inserviente faceva scorrere il ripiano metallico sulle guide oliate, poi in silenzio guardò la faccia del marito, e fece segno di sì, una volta sola. Aveva sentito la morte nell'attimo stesso in cui Carella le aveva parlato per telefono. Ora, guardare la faccia dell'uomo che aveva sposato a diciannove anni, dell'uomo che aveva amato da quando ne aveva sedici, al quale aveva dato tre figli, col quale aveva diviso la buona e la cattiva sorte; guardare la faccia immobile e cieca di un uomo che ormai era soltanto un cadavere disteso su un ripiano metallico, in una cella dell'obitorio, era semplicemente un particolare. Il cuore le si era spezzato nel momento in cui Carella aveva pronunciato la parola "morto"; il resto aveva ormai solo importanza secondaria.
— È vostro marito? — domandò Carella.
— Sì.
— Anthony Forrest?
— Sì. — Clara Forrest scosse la testa. — Possiamo andare via, per favore?
Uscirono dalla grande stanza piena di echi.
— Faranno l'autopsia? — domandò la donna.
— Sì, signora Forrest.
— Preferirei che non la facessero.
— Mi dispiace...
— Credete che abbia sofferto?
— Probabilmente è morto sul colpo.
— Che Dio sia ringraziato, per questo.
Un lungo silenzio..
— Abbiamo tanti orologi — disse Clara. — Più di venti. Sapevo che sarebbe successo.
— Cosa volete dire, signora Forrest?
— Li ha sempre caricati lui, gli orologi. Alcuni sono molto complicati. Quelli più antichi, soprattutto, e quelli stranieri. Lui aveva l'abitudine di caricarli tutte le settimane, il sabato. Li caricava tutti. — Fece una pausa, e sorrise tristemente. — Io ho sempre temuto che accadesse questo. Io... vedete, non ho mai imparato come si fa a caricarli.
— Non capisco — disse Carella.
— Ora... ora che Tony è morto — disse lei, assurdamente — chi caricherà gli orologi?
Poi cominciò a piangere.
Il Dipartimento di polizia è un'immensa organizzazione di cui un agente investigativo è soltanto una parte infinitesimale. L'agente investigativo si reca all'ufficio ogni giorno, e svolge il suo lavoro. Nel suo, come in ogni altro lavoro, ci sono regole da seguire e procedure da rispettare, lettere da scrivere, e telefonate da fare, gente da ricevere e gente dalla quale andare, e particolari da controllare, specialisti da consultare. E come in ogni altro lavoro, anche in quello della polizia è impossibile dedicare tutte le energie a un singolo problema.
C'è una sola differenza tra gli altri impiegati e un agente investigativo: gli altri non devono guardare in faccia la morte, e soprattutto non tutti i giorni.
Un agente investigativo, invece, vede la morte sotto tutti gli aspetti, e nelle sue varie forme, almeno cinque volte la settimana, e qualche volta anche più spesso. La vede nelle strade, con lo spettacolo di tutte le miserie umane, della corruzione, del vizio. La vede sotto forma di morte civile, nei ladri, nei rapinatori, negli sfruttatori, confinati dietro le sbarre di una cella. Vede la morte dell'onore nelle prostitute, e ancora in loro vede la morte dell'amore, avvilito, oltraggiato, umiliato. E la vede nelle bande giovanili, che vivono nella paura della morte e diffondono la paura infliggendo la morte per combattere la paura.
E poi la vede in ogni sua forma fisica. Vede ferite d'arma da fuoco, e di coltello, e d'accetta. E ogni volta che guarda il corpo di un altro essere umano che è stato ucciso e annullato dalla morte, perde la propria umanità per potersi trasformare in un osservatore obiettivo e distaccato, come un abitante di un altro pianeta intento a studiare una forma sconosciuta; rinuncia alla propria cittadinanza umana, in quei momenti; sbalordito, stupito, impossibilitato a credere che in uomini i quali hanno quasi raggiunto le stelle possa ancora sussistere tanta crudeltà. Il poliziotto chiude gli occhi, e quando li riapre vede solo un "caso" nel corpo immobile, e si sente solo ed esclusivamente un ingranaggio della immensa organizzazione di cui fa parte, un meccanismo che deve scoprire tutto il possibile prima che il "caso" venga archiviato insieme agli altri.
Il rapporto balistico spiegò a Carella che la pallottola trovata nello stipite della porta davanti alla quale era caduto Forrest e il bossolo rintracciato sul tettoterrazzo dell'edificio di fronte erano parti di uno stesso proiettile: calibro 308, marca Remington. Il rapporto stabilì inoltre che il suddetto proiettile aveva un involucro di metallo pieno, che la pallottola era a punta arrotondata, pesava 191 grani e sei decimi, e che era fuoriuscita dalla canna dell'arma seguendo un movimento rotatorio da sinistra a destra. I tecnici aggiungevano che, considerata la distanza dal tetto al punto del marciapiede dove Forrest era stato colpito, distanza calcolata in centocinquanta metri abbondanti, con tutta probabilità l'assassino si era servito di un mirino telescopico.
Carella studiò il rapporto. Era stato lui a ricevere la telefonata che denunciava il delitto, perciò il caso era ufficialmente suo. Carella aveva lavorato a turno con tutti e sedici gli agenti investigativi che componevano la squadra dell'87° Distretto. Adesso la situazione della squadra era la seguente: Meyer Meyer era appena rientrato dalle ferie, e sostituiva Bert Kling partito per le sue vacanze; Cotton Hawes e Hal Wills erano impegnatissimi a cercare di scoprire i colpevoli di una serie di furti nei magazzini del quartiere; Andy Parker stava lavorando sulla rapina a una nota gioielleria; Arthur Brown era momentaneamente impegnato con la Squadra Narcotici, nel tentativo di scovare un famoso spacciatore che secondo le informazioni si era rifugiato in quella parte della città.
Steve Carella fu felice quando il tenente gli assegnò come compagno Meyer Meyer.
E Meyer cadde nello stesso volontario errore commesso da Carella, il quale aveva voluto istintivamente ignorare la premonizione avuta nell'attimo in cui aveva visto il cadavere di Forrest, sperando che, se non ne avesse tenuto conto, il caso sarebbe stato più facile da risolvere. Anche Meyer volle ignorare ciò che brillava come un faro, ritenendosi soddisfatto di sapere già come si chiamava la vittima, dove abitava la sua famiglia, e di che tipo era il proiettile che ne aveva procurato la morte.
I due poliziotti si dissero che, per risolvere il delitto, dovevano cercare un particolare individuo che aveva ucciso un altro particolare individuo, e che, con molta pazienza, molto lavoro di gambe, molte domande rivolte alle persone giuste, sarebbero venuti a capo del mistero. Un uomo, si dissero, non viene assassinato, se non c'è qualcuno che vuole uccidere proprio lui. Il giorno seguente cambiarono idea.
III
Era un'altra meravigliosa giornata primaverile.
Per chi vive in campagna, non è possibile capire che cosa significhi una giornata così per un cittadino. In città, la gente ascolta avidamente il bollettino meteorologico, e, appena apre gli occhi al mattino, destata dal suono della sveglia, va a sbirciare speranzosa dalla finestra per vedere se il cielo è sereno. Se è sereno, la gente di città ha subito la sensazione che in quel giorno andrà tutto bene, e basa la scelta del vestito, l'umore, il proprio punto di vista intorno all'esistenza, sulle sensazioni di quei primi momenti, dopo il risveglio.
Alle 7,30 Randolph Norden ascoltò la radio-sveglia. L'aveva comperata pensando che sarebbe stato piacevole svegliarsi tutte le mattine al suono della musica. Ma la sua ora per alzarsi erano le 7,30, e a quell'ora la radio trasmette le ultime notizie, cosicché tutte le mattine lui si risvegliava al suono della voce dell'annunciatore che leggeva il giornale-radio, e, data la natura delle notizie, non era un buon risveglio. Aveva provato a spostare l'ora della sveglia alle 7,35, quando cioè l'annunciatore smetteva di parlare, e cominciava la musica, ma aveva scoperto che quei cinque minuti in meno gli impedivano di arrivare in ufficio in orario. Allora aveva anticipato alle 7,25, ma dopo un po' si era accorto di risentire dei cinque minuti in meno di sonno. Così, tutte le mattine Randolph Norden ascoltava le brutte notizie del giornale-radio dalla radio-sveglia comperata per sentire musica. E questa, secondo lui, era una riprova delle ingiustizie della vita.
Mentre si alzava dal letto, sentì l'annunciatore parlare di combattimento su una certa isola. Brontolò: — Vai al diavolo tu e la tua isola — e poi andò ciondolando alla finestra della camera da letto, grattandosi la pancia, e provando risentimento generico contro la radio-sveglia, contro sua moglie che continuava a dormire sodo, e contro i bambini che dormivano altrettanto sodo nelle loro stanze all'altro capo dell'appartamento, e, per finire, anche contro la cameriera, la quale, nonostante il padrone di casa fosse lui, dormiva tutte le mattine fino a quando lui non era uscito, di modo che, se voleva far colazione, Randolph Norden doveva prepararsela da solo. Sollevò le tapparelle, sperando malignamente che il sole andasse a cadere giusto sulla faccia della moglie, voltandosi subito, pentito, per vedere se la luce aveva svegliato Mae. Niente sole sulla donna, e Randolph pensò che fosse un mattino nuvoloso, ma poi guardò fuori, e sopra i tetti della casa di fronte vide l'azzurro intenso del cielo, e sorrise. Allora, aprì i vetri.
L'aria era tiepida, e un lieve vento saliva dall'Harb. Dal suo appartamento al ventesimo piano si vedevano i battelli sul fiume e il bell'arco del ponte nello sfondo. Sempre sorridendo, Randolph Norden tornò vicino al letto, spense la radio-sveglia, si tolse il pigiama, si vestì in fretta e senza far rumore, poi andò in bagno a radersi con il rasoio elettrico. Mentre si radeva, il programma della giornata prese forma precisa nella sua mente. Rasatosi, annodata la cravatta, infilata la giacca, bevuto un succo di frutta e un caffè, si sentì impaziente di arrivare nel suo ufficio legale di Hall Avenue, per lavorare su un piano di magnifiche idee che gli erano venute. Andò nella stanza dei bambini. Joanie era sveglia, e leggeva un giornalino, seduta sul letto.
— ...'Giorno, papà — salutò, e riprese a leggere.
Lui la baciò e disse: — Ci rivediamo questa sera. — Lei fece segno di sì, e continuò a leggere.
Mike dormiva ancora, e il padre non lo disturbò. Tornò invece in fondo all'appartamento, e baciò Mae che mormorò qualcosa nel sonno e si rigirò. Lui sorrise, passò in anticamera, prese la borsa e uscì.
Il ragazzo dell'ascensore disse: — Buongiorno, signor Norden. Magnifico tempo, oggi.
— Sì, davvero, George — rispose lui.
Scesero in silenzio fino all'atrio. Randolph uscì dalla cabina, rispose con un cenno al saluto di George, andò fino alle cassette delle lettere, come ogni mattina, per quanto sapesse che era troppo presto per la posta, aprì la porta a vetri del palazzo, e uscì sul marciapiede. Guardò il cielo, e sorrise ancora.
Stava respirando una profonda boccata d'aria fresca quando il proiettile lo colpì in mezzo agli occhi, uccidendolo.
L'agente investigativo che rispose alla chiamata, al 65° Distretto, era un uomo coscienzioso, che faceva del suo meglio per tenersi aggiornato su tutto quanto accadeva di importante nel Dipartimento.
Al tranquillo 65°, un omicidio era un fatto rarissimo, e l'agente investigativo fu alquanto sorpreso dalla telefonata dell'agente che lo chiamò in causa. Si ficcò in testa il cappello, fece un cenno al compagno che lavorava con lui, scelse una macchina del Distretto, con i pneumatici anteriori quasi del tutto lisci, e raggiunse il punto in cui Randolph Norden giaceva morto sul marciapiede. Non gli ci volle molto a capire che il colpo era partito da una finestra o dal tetto di uno degli edifici sull'altro lato della strada. Il foro d'entrata del proiettile era all'attaccatura del naso, e quello d'uscita era basso nella nuca, il che indicava una traiettoria molto inclinata. L'agente investigativo del 65° Distretto aveva letto il giornale del mattino, e sapeva che un certo Anthony Forrest era stato ucciso il giorno prima, in Culver Avenue, con un colpo di fucile, e collegò i due casi. Decise però di aspettare, prima di passare il caso a chi di competenza.
Non dovette aspettare molto.
L'ufficio balistico lo informò con un rapporto che la pallottola finita sul marciapiede dopo aver trapassato la testa di Norden e il bossolo trovato sul tetto dell'edificio di fronte erano parti di uno stesso proiettile calibro 308, marca Remington. Il rapporto continuava specificando che il proiettile suddetto aveva un involucro di metallo pieno, che la pallottola era a punta arrotondata, del peso di 191 grani e sei decimi, e che era fuoriuscita dalla canna seguendo un movimento rotatorio da sinistra a destra. Inoltre qualcuno molto zelante aveva aggiunto in cima al rapporto un'annotazione a mano che diceva:
Opportuno mettersi in contatto con l'ispettore Stephen Carella dell'87a Squadra; telefono: Frederick 7-8024. Carella sta indagando su un identico omicidio commesso ieri, e per il quale il modus operandi risulta lo stesso e il proiettile è uguale.
G.L.
L'agente investigativo del 65° Distretto lesse il rapporto e la nota a mano, poi brontolò a mezza voce: — Cosa diavolo gli fa pensare che doveva proprio dirmelo lui? — Allungò la mano verso il telefono e trasse a sé l'apparecchio.
La possibilità che Carella e Meyer avevano ostinatamente respinta era quella che Anthony Forrest fosse stato ucciso da un tiratore scelto o "cecchino".
Il tiratore scelto è un raro tipo di assassino, e ha in comune con il suo omonimo del tempo di guerra soltanto il metodo usato per uccidere. Il tiratore scelto di guerra e il tiratore scelto del tempo di pace agiscono entrambi stando nascosti, entrambi aspettando la preda mantenendosi imboscati. Il loro successo è basato sull'elemento sorpresa, combinato con la rapidità d'azione e una precisione di tiro che deve avere il requisito dell'infallibilità. In guerra, un tiratore scelto appostato su un albero può tenere in scacco un'intera squadra, decimarla prima che gli uomini si siano messi al riparo, e poi costringerla, dal suo nascondiglio, all'immobilità. Una squadra di buoni tiratori scelti che agiscano all'unisono può cambiare il risultato di una battaglia. Sono nemici temibilissimi, perché scatenano improvvisamente la morte dall'alto, come la collera di Dio.
I tiratori scelti, in guerra, sono addestrati per uccidere i soldati nemici, e, se ne uccidono un numero sufficiente, si guadagnano una medaglia. Un buon tiratore scelto può anche guadagnarsi l'ammirazione di quelli che intende uccidere. Tra lui e i nemici si impegna, a volte, una partita d'astuzia, nella quale i nemici tentano di localizzarlo, per poi studiare il modo di snidarlo dalla sua posizione di vantaggio, prima che lui li uccida tutti. Un tiratore scelto, in guerra, è un esperto pericolosissimo.
In tempo di pace può essere chiunque e qualunque cosa. Può essere un ragazzo che sta sperimentando il suo nuovo fucile prendendo di mira i passanti dalla finestra della sua camera. Può essere un uomo che spara a ciò che gli capita, in un momento di pazzia. Può essere un tipo alla Jack lo Squartatore, che si è messo in testa di eliminare tutte le bionde formose che gli vengono a tiro. Può essere un anticlericale, un antisemita, un antipacifista, un antiuomo o un antidonna. L'unica cosa chiara è che un tiratore scelto, in tempo di pace, è senz'altro un "anti" qualche cosa. E quel che è peggio, lo è senza una ragione e senza uno scopo. Così dimostrano tutti gli assassini del genere, sui quali la polizia è riuscita a mettere le mani. Per alcuni, uccidere in quel modo è addirittura una forma di appagamento sessuale. Il tiratore scelto di guerra, appollaiato su un albero, o accucciato nella soffitta di una casa bombardata, è costretto all'immobilità. Se si muove, lo scoprono e lo abbattono. La sua debolezza sta appunto nell'impossibilità di muoversi. In pace, il tiratore scelto spara, uccide, e se ne va, e può farlo impunemente, perché la sua vittima è quasi sempre disarmata e non si aspetta mai un'esplosione di violenza. Dopo lo sparo nasce generalmente confusione, lui ne approfitta per eclissarsi; tanto, nessuno sparerà a lui. Lascia sul terreno un morto, e può tranquillamente confondersi con tutti gli altri cittadini.
La guerra è una manifestazione incivile e disonorevole, ma i tiratori scelti, in guerra, sono soltanto dei tecnici addestrati per fare un lavoro. In pace, sono assassini all'ingrosso.
Né Carella né Meyer ci tenevano a che il loro uomo fosse di quel genere. Il primo allarme era stato ricevuto dall'87° Distretto, e questo significava che il caso era tutto per loro, un bel bambino frignante, abbandonato in una cesta davanti alla porta di casa. E anche se l'uomo era un tiratore scelto e si era messo in testa di ammazzare tutta la città, il caso restava comunque di loro competenza. Sì, certo, avrebbero ricevuto rinforzi dalle altre squadre investigative... forse... e forse il Dipartimento avrebbe dato tutto l'appoggio che poteva; ma il tiratore scelto da snidare era una cosa loro; e riguardava loro se in città c'erano dieci milioni di abitanti e se ognuno di quei dieci milioni poteva essere tanto l'assassino quanto la prossima vittima.
— Non siamo ancora sicuri che sia un cecchino — disse Meyer Meyer. — Per ora i morti sono soltanto due, Steve. Vuoi la mia opinione? Secondo me, quel tipo del 65° Distretto... Come si chiama?
— Di Nobile.
— Ecco. Secondo me, Di Nobile ci ha scaricato il suo morto troppo in fretta.
— Il modus operandi è il medesimo — osservò Carella.
— Sì, lo so.
— E il proiettile anche.
— E tutti gli uomini sono bipedi — commentò Meyer. — Ne consegue forse che tutti i bipedi sono uomini?
— Cosa vuoi dire?
— Questo: mi sembra prematuro affermare che, siccome due uomini sono stati uccisi tutti e due da un colpo sparato dal tetto di due diversi edifici, e il tipo di proiettile che li ha accoppati è identico, l'assassino...
— Meyer, ti giuro che sarei felice di scoprire che quei due sono stati uccisi da mia zia Mathilda perché entrambi l'avevano nominata beneficiaria della loro assicurazione sulla vita — interruppe Carella. — Ma purtroppo non mi pare che la soluzione sia questa. Finora il quadro è abbastanza chiaro.
— Quale quadro?
— Il più logico, per cominciare. Il modo come sono stati uccisi e l'arma usata.
— Può essere una coincidenza — obiettò Meyer.
— Non lo escludo. Ma gli altri elementi tracciano un quadro diverso.
— È troppo presto per poter tracciare un quadro qualunque — obiettò Meyer.
— Ah, sì? Senti un po' questo, allora. — Carella prese dalla sua scrivania un foglio battuto a macchina, alzò un attimo gli occhi su Meyer, poi cominciò a leggere: — Anthony Forrest: aveva circa quarantacinque anni, era sposato. Tre figli. Occupava un posto importante: vicepresidente. Stipendio: quarantasettemila dollari all'anno. Religione: protestante. Tendenze politiche: repubblicano. Capito bene?
— Continua.
— Randolph Norden: aveva quarantasei anni. Sposato. Due figli. Occupava una posizione importante: socio in uno studio legale. Stipendio: cinquantottomila dollari all'anno. Religione: protestante. Tendenze politiche: repubblicano.
— E con ciò?
— A parte i nomi, potrebbe quasi trattarsi della stessa persona.
— Stai cercando di dirmi che secondo te l'assassino è un tale che ha deciso di eliminare tutti gli uomini di mezz'età, sposati, con figli, e che occupano un posto importante?
— Potrebbe essere.
— Allora, perché non fare ipotesi anche più azzardate, e prendere in considerazione a uno a uno i diversi particolari? — disse Meyer. — Potremmo per esempio affermare che il nostro cecchino intende prendere di mira tutti quelli che hanno più di quarantaquattro anni.
— Perché no?
— O tutti gli uomini sposati, con due o più figli. Che cosa ne dici?
— Forse è così.
— O quelli che guadagnano più di quarantamila dollari all'anno...
— Forse.
— O tutti i protestanti. O tutti i repubblicani.
Carella lasciò ricadere il foglio sulla scrivania e ribatté: — Oppure ce l'ha solamente con le persone che riuniscono in sé tutte queste caratteristiche.
— Steve, la descrizione di quei due uomini corrisponderà più o meno a centomila persone, in questa città.
— E allora? Chi ci garantisce che il nostro cecchino non sia un tipo tenace? Ha tutto il tempo che vuole per ammazzare quanta gente vuole.
— In questo caso è un pazzo — concluse Meyer. Carella lo guardò fisso. — Proprio per questo motivo speravo che l'assassino non fosse un cosiddetto tiratore scelto — disse.
— Non sappiamo ancora se lo è — insistette Meyer. — Non vorrai giungere a questa conclusione soltanto perché quel furbone del 65° ha trovato il modo di lavarsi le mani del suo...
— Non lo giudico in questo modo — interruppe Carella. — Per me è un poliziotto in gamba che ha tratto da due fatti l'unica conclusione logica. Meyer, sono convinto che si tratta di un cecchino, spero che non sia un pazzo, e ritengo che la cosa migliore da fare sia cercare di scoprire quali altri punti di contatto o similarità esistevano tra Anthony Forrest e Randolph Norden. Ecco. Adesso sai come la penso.
Meyer scosse il capo, affondò le mani nelle tasche, poi disse: — Ci mancava giusto un cecchino, adesso!
IV
Il presidente della "Indian Exports, Inc.", la ditta per la quale aveva lavorato Anthony Forrest, era un sessantenne quasi calvo, decisamente rigido, decisamente pomposo, e decisamente tedesco. Era alto circa uno e settanta, aveva un po' di pancia, e camminava con i piedi piatti. Meyer Meyer, che era ebreo, si sentì subito a disagio alla sua presenza.
L'uomo si chiamava Ludwig Etterman. In piedi davanti alla sua scrivania, visibilmente desolato, disse, con un lievissimo accento straniero: — Tony era un'ottima persona. Non riesco a capire perché l'abbiano ucciso.
— Da quanto tempo lavorava con voi, signor Etterman? — domandò Carella.
— Da quindici anni. Sono tanti.
— Potete dirci qualcosa di lui?
— Cosa volete sapere?
— Come vi siete conosciuti, come erano improntati i vostri rapporti di lavoro, quali erano i compiti del signor Forrest nella ditta.
— Quando l'ho conosciuto, faceva il commesso viaggiatore. Io avevo già questa ditta. Lui vendeva scatole da imballaggio, e noi ne compravamo per poter spedire in tutti gli Stati Uniti la merce che acquistavamo all'ingrosso in India. I più grossi acquisti di scatole li facevamo proprio dalla ditta di Tony. A quell'epoca, lo vedevo forse un paio di volte al mese.
— La vostra conoscenza, dunque, risale a poco dopo la fine della guerra, è così?
— Sì.
— Sapete se il signor Forrest ha fatto la guerra?
— Sì — rispose Etterman. — In artiglieria. Ed è stato anche ferito. In Italia, combattendo contro i tedeschi. — Etterman si rivolse a Meyer: — Io sono cittadino americano — riprese. — Sono in America dal 1912. I miei genitori vennero qui quando io ero bambino. Quasi tutti i miei familiari hanno lasciato la Germania, e alcuni si sono trasferiti in India. È stato per questo che ho cominciato il commercio con quel Paese.
— Sapete che grado aveva Forrest, sotto le armi? — domandò Carella.
— Se non sbaglio, era capitano.
— Grazie. Continuate, per favore.
— Ecco, provai simpatia per lui, non appena lo conobbi. Aveva un modo di fare particolare. In fondo, le scatole sono più o meno uguali da chiunque le comperiate. Io preferivo comperarle da Tony perché mi piaceva lui personalmente. — Etterman offrì un sigaro ai due agenti investigativi e ne accese uno anche per sé. — È il mio unico vizio — spiegò. — Il mio medico dice che mi porterà alla tomba. — Etterman rise. — Alla mia età devo accontentarmi di morire per colpa di un sigaro.
— Come fu che il signor Forrest entrò a far parte della ditta? — domandò Carella, sorridendo.
— Un giorno gli chiesi se era soddisfatto del suo posto, perché, in caso contrario, avrei avuto un'offerta da fargli — rispose Etterman. — Discutemmo a lungo sulla possibilità che gli offrivo, e, alla fine, lui venne a lavorare per me, come rappresentante. Quindici anni fa. Adesso, Anthony Forrest era vicepresidente.
— Perché gli offriste un posto da voi, signor Etterman?
— Come vi ho già detto, mi era riuscito subito simpatico. E poi... — Etterman scosse la testa. — Ma questo non ha importanza.
— Cosa stavate per dire? — insistette Carella.
— Ecco... — Etterman scosse ancora la testa. — Vedete... io ho perso mio figlio. È morto in guerra.
— Mi dispiace, veramente — disse Carella.
— Grazie... È passato tanto tempo, ormai. Bisogna pur continuare a vivere, no? — Ebbe un rapido sorriso triste. — Mio figlio era in aviazione, nei bombardieri. Il suo apparecchio fu abbattuto il 13 aprile del 1944 durante un'incursione su Schweinfurt. Erano andati a bombardare una fabbrica di munizioni... — Nella stanza ci fu un lungo silenzio. — La nostra famiglia è originaria di una città vicino a Schweinfurt — riprese Etterman. — Non pensate anche voi che la vita è strana, a volte? Io sono nato in Germania, in una città vicino a Schweinfurt, e mio figlio è morto nel cielo di Schweinfurt, da aviatore americano. — Scosse il capo.
Carella si schiarì la voce e disse: — Signor Etterman, che tipo d'uomo era Anthony Forrest? Andava d'accordo con gli altri funzionari della ditta?
— Era l'essere umano più a posto ch'io abbia mai conosciuto — disse Etterman. — Piaceva a tutti. Chi l'ha ucciso può essere stato soltanto un pazzo.
— Egli usciva dall'ufficio tutti i giorni alla stessa ora?
— Noi chiudiamo alle cinque. Di solito Tony e io restavamo a parlate ancora per dieci o quindici minuti... Sì, direi che Tony usciva solitamente fra le cinque e un quarto e le cinque e mezzo.
— Andava d'accordo con sua moglie?
— Il loro era un matrimonio felice.
— E i figli? Credo che la ragazza abbia diciannove anni e che i ragazzi siano sui quindici. O mi sbaglio?
— No, hanno proprio quell'età.
— Nessun guaio da quella parte?
— Cioè? — domandò Etterman.
— Noie con la legge, risse con altri ragazzi, cattive compagnie e via dicendo.
— No. Sono tutti e tre bravi ragazzi — rispose Etterman. — Cynthia si è diplomata con il massimo dei voti e ha vinto una borsa di studio per l'università. I due maschi vanno anche loro molto bene a scuola. No, ispettore, nessun guaio da parte dei ragazzi.
— Non sapete niente di Forrest come ufficiale? Chi gli ha sparato è un ottimo tiratore, potrebbe perciò essere un ex militare.
— Non so molto di quel periodo. Ma sono sicuro che Tony è stato un buon ufficiale.
— Non vi ha mai parlato di difficoltà con i suoi uomini? Non so, qualcosa che potrebbe aver generato rancore...
— Signori, Tony è stato ufficiale durante la guerra, e la guerra è finita da parecchio tempo. Nessuno può aver serbato un rancore per così tanti anni.
— Niente è impossibile, signor Etterman — ribatté Carella. — Non dobbiamo trascurare nessuna pista.
— Dev'essere stato un pazzo — insisté Etterman. — Non vedo altra spiegazione.
— Spero di no — concluse Carella. Poi si alzarono e lo ringraziarono per il tempo che aveva loro concesso.
Quando furono in strada Meyer disse: — Mi sento sempre strano quando sono di fronte a un tedesco.
— Me ne sono accorto — rispose Carella.
— Era tanto evidente?
— Non hai detto una parola in tutto il tempo!
— Già. Guardavo Etterman e pensavo: "Va bene, tuo figlio è morto nel cielo di Schweinfurt, a bordo di un bombardiere americano, ma forse qualche tuo nipote, nello stesso momento, stava spingendo i miei parenti in un forno crematorio di Dachau". — Meyer scosse il capo. — Sai, un paio di settimane fa, Sarah e io siamo andati a un ricevimento, e là c'era un Tizio che discuteva con un Caio sul fatto che questo Caio vendeva macchine tedesche, in America. A un certo punto il Tizio disse che lui avrebbe voluto vedere sterminati tutti i tedeschi. L'altro rispose: "C'era una volta un tedesco che voleva vedere sterminati tutti gli ebrei". Aveva ragione il Caio, naturalmente. Perché mai dovrebbe essere giusto che gli ebrei sterminino i tedeschi, e odioso il contrario? Sapevo e so che aveva ragione il Caio; ma cosa vuoi che ti dica, io mi sentivo concorde con il Tizio. Credo che, dentro di sé, ogni ebreo desideri di vedere sterminati i tedeschi, per quello che ci hanno fatto.
— Non puoi odiare oggi, qui, della gente per quello che altra gente ha fatto in un altro luogo e in un'altra epoca — commentò Carella.
— Tu non sei ebreo — disse Meyer.
— Non lo sono, infatti. Ma di fronte a uno come Etterman vedo solo un povero vecchio che ha perso il suo unico figlio in guerra, e che due giorni fa ha perso l'uomo che lui considerava quasi come un secondo figlio.
— Se lo guardo io, invece, vedo i bulldozer che spingono in un'enorme buca migliaia di cadaveri di ebrei.
— E non pensi al figlio morto sopra Schweinfurt?
— No. Sono convinto di odiare i tedeschi, e credo che li odierò finché avrò vita.
— Ti capisco, ma non posso approvarti. Io, però, non sono ebreo. Be', fermiamoci a prendere un gelato prima di andare dalla moglie di Norden.
Mae Norden aveva quarantatré anni, i capelli neri, la faccia rotonda, gli occhi molto scuri. La trovarono nella camera ardente dell'Impresa di pompe funebri, dove il cadavere di Norden era stato composto in una bara foderata di seta. All'Impresa avevano fatto un buon lavoro, e nessuno avrebbe detto che Randolph Norden era stato colpito in fronte da una pallottola. La stanza era zeppa di amici e parenti, compresa la moglie di Norden e i due bambini, Mike di otto anni, e Joanie, di cinque. I bambini stavano seduti vicino alla bara, e avevano un'aria matura e stranita a un tempo. Mae Norden era vestita di nero, e aveva gli occhi gonfi, come se avesse pianto parecchio, negli ultimi giorni. Adesso, però, non piangeva. La donna uscì dalla camera ardente con i due poliziotti, e tutti e tre si fermarono sul marciapiede, a parlare dell'uomo che giaceva nella bara foderata di seta nella piccola stanza silenziosa.
— Non so chi possa essere stato — disse Mae. — Evidentemente una moglie pensa sempre che suo marito sia benvoluto da tutti, ma io non riesco davvero a pensare a nessuno che odiasse Randy.
— Cosa potete dirci del lavoro di vostro marito? Il signor Norden era avvocato, vero?
— Sì.
— Non è possibile che uno dei suoi clienti...
— Un uomo che spara a un altro deve essere pazzo, almeno un po', non credete? — interruppe la signora Norden.
— Non è detto — rispose Meyer.
— Certo, Randy ha perso alcune cause — riprese la donna. — Qual è quell'avvocato che non ne perde mai? Ma quando voi mi chiedete se secondo me qualcuno dei suoi clienti può essere stato talmente fuori di sé da fare una cosa simile, io posso soltanto dirvi che non so a che punto arrivi un pazzo. Come si fa a dare un giudizio, su uno squilibrato?
— Signora Norden, non abbiamo la certezza che l'assassino sia uno squilibrato — disse Meyer.
— No? E credete che un uomo con il cervello a posto salga sul tetto di un palazzo, per sparare a mio marito, quando lui esce di casa?
— Signora Norden, noi non siamo degli psichiatri, e parliamo di pazzia dal punto di vista della legge.
— Al diavolo la legge! — esplose Mae Norden. — Chiunque uccida un altro essere umano dev'essere un pazzo, e non m'importa niente di quel che dice la legge.
— Ma vostro marito era un avvocato, vero?
— Era un avvocato — rispose Mae Norden, astiosa. — E con questo? Vorreste forse dire che, se io non ho rispetto per la legge, questo significa che non ho nemmeno rispetto per gli uomini di legge, e che, perciò...
— Non abbiamo affatto detto questo, signora Norden — la interruppe Carella. — Ma ritengo che la moglie di un avvocato debba nutrire un grande rispetto per la legge.
— Io non sono più la moglie di un avvocato — replicò Mae Norden. — Sono una vedova. Una vedova con due bambini, signor... signor?
— Carella.
— Ah, sì. Sono una vedova di quarantatré anni, adesso, signor Carella. Non la moglie di un avvocato.
— Signora Norden, forse potreste dirci qualcosa che ci sarebbe utile per trovare l'uomo che ha ucciso vostro marito.
— Cosa dovrei dirvi?
— Per esempio, usciva di casa sempre alla stessa ora, al mattino?
— Sì, tranne il sabato e la domenica.
— Vostro marito ha fatto la guerra?
— Sì. È stato tre anni in Marina, durante la seconda guerra mondiale.
— Dunque non era nell'esercito... Avete detto Marina, vero?
— Sì.
— Come si trovava nello studio legale di cui era socio?
— Benissimo.
— Quanti soci c'erano, signora Norden?
— Tre, compreso mio marito.
— Il quale era l'unico socio nuovo di un vecchio studio, vero?
— Sì, era il più giovane.
— Andava d'accordo con gli altri?
— Perfettamente. Andava d'accordo con tutti.
— Nessuna bega, quindi, con gli altri soci?
— Nessuna.
— Vostro marito quali casi trattava?
— Lo studio si occupa di ogni genere di cause.
— Anche penali?
— Sì, qualche volta.
— Vostro marito non ha mai difeso qualche criminale?
— Sì.
— Quante volte?
— Tre o quattro, non ricordo bene. Quattro, mi pare, da quando era in quello studio.
— E i processi come si sono risolti? Con condanna o assoluzione?
— Due condanne e due assoluzioni.
— Sapete dove siano adesso i due uomini che sono stati condannati?
— Credo che siano in prigione.
— Vi ricordate per caso i loro nomi?
— No. Ma probabilmente Sam... Sam Gottlieb è uno dei soci... lui dovrebbe saperlo.
— Vostro marito era nato in questa città?
— Sì. È sempre vissuto qui, e ha frequentato qui anche tutte le scuole, compresa l'università.
— Quale università?
— La Ramsey.
— Come l'avete conosciuto?
— Ci incontrammo un giorno allo Zoo di Grover Park. Cominciammo a frequentarci, e poi ci siamo sposati.
— Prima della guerra o dopo?
— Ci siamo sposati nel 1949.
— Lo conoscevate già, quando era militare?
— No. Andò in Marina appena laureato. Cominciò a esercitare dopo il congedo. Quando lo conobbi aveva uno studio nel quartiere di Berthtown. Solo tre anni fa si mise con Gottlieb e Graham.
— E sino a tre anni fa, aveva sempre lavorato per conto suo?
— No. Era stato in altri uffici legali.
— E non ha mai avuto noie con nessuno?
— Con nessuno.
— Ha trattato qualche causa penale anche durante la sua attività in quegli altri uffici legali?
— Sì, ma non ricordo quali.
— Siete in grado di dirci i nomi di quegli uffici legali presso i quali lavorò vostro marito, signora Norden?
— Pensate veramente che una causa persa possa essere motivo di...
— Non lo sappiamo, signora Norden. Per il momento abbiamo troppo pochi elementi per giudicare. Stiamo solo cercando di scoprire qualcosa.
— Vi farò un elenco di quegli studi legali — disse la signora Norden. — Volete entrare, per favore? — Nell'atrio la donna si fermò. — Vi prego di scusarmi se sono stata scortese con voi. — Fece una breve pausa, poi aggiunse: — Amavo molto mio marito.
V
Il 30 aprile, un lunedì, cinque giorni dopo il primo delitto, Cynthia Forrest andò da Steve Carella. La ragazza salì i bassi gradini dell'ingresso, sormontato da due globi di vetro verde con il numero "87" scritto in bianco, ed entrò nella sala d'aspetto dove un cartello le spiegò che doveva rivolgersi al poliziotto di servizio dietro l'alto banco. Al sergente Murchison la ragazza disse di voler parlare all'ispettore Carella. Murchison le chiese il nome, chiamò al telefono Carella, poi le disse che poteva salire. Seguendo l'indicazione di un secondo cartello, Cynthia Forrest salì la stretta scala metallica, sbucò in un corridoio, lo percorse passando davanti a un uomo in camicia granata, seduto su una panca e ammanettato, e si fermò a una bassa ringhiera di legno, sbirciando nella stanza. Appena vide Carella che, alzatosi dalla sua scrivania, le veniva incontro, la ragazza agitò una mano in segno di saluto.
— Buongiorno, signorina Forrest — disse Carella sorridendo. — Entrate. — Le tenne aperto il cancelletto, e la guidò alla scrivania.
La ragazza indossava un maglioncino bianco sopra una gonna grigio ferro. I capelli lunghi erano fermati al sommo dalla testa, a coda di cavallo. Posò sulla scrivania i libri e il quaderno che teneva in mano, sedette, accavallò le gambe e tirò giù la gonna sulle ginocchia.
— Bevete volentieri un caffè? — domandò Carella.
— Si può averlo?
— Certo. Miscolo! — chiamò Carella. — Ci fai due tazze?
Dall'ufficio schede, sull'altro lato del corridoio, la voce di Miscolo urlò in risposta: — Arrivo!
Carella sorrise alla ragazza e domandò: — Cosa posso fare per voi, signorina Forrest?
— Mi chiamano tutti Cindy — disse la ragazza.
— Va bene. Cindy allora.
— Dunque è qui che lavorate?
— Sì.
— Vi piace?
Carella si guardò attorno come se vedesse la stanza per la prima volta. Si strinse nelle spalle. — Volete dire l'ufficio, o quello che faccio? — domandò.
— Tutt'e due.
— Be', l'ufficio... — si strinse ancora nelle spalle. — Mi pare più una topaia che altro, ma ci sono abituato. Il lavoro, sì, mi piace, se no non lo farei.
— Uno dei miei insegnanti di psicologia afferma che gli uomini che scelgono una professione violenta sono in genere uomini violenti.
— Davvero?
— Così dice. — Cindy sorrise con aria misteriosa, come se stesse divertendosi a qualche suo gioco segreto. — Ma voi non mi sembrate un violento.
— E non lo sono — disse Carella. — Anzi, io sono un animo gentile.
— Allora il mio professore si sbaglia.
— Potrei essere l'eccezione che conferma la regola — ribatté Carella.
— Può darsi.
— Dovete laurearvi in psicologia? — domandò Carella.
— No. Studio per diventare insegnante. Ma anche la psicologia fa parte della mia preparazione.
— Capisco. E cosa insegnerete?
— Letteratura.
— In un'università?
— No, in una scuola superiore.
Miscolo venne dall'ufficio schede e posò due tazze di caffè sulla scrivania di Carella. — Ho messo in tutt'e due zucchero e latte. Va bene? — domandò.
— Per voi, Cindy, va bene? — chiese Carella.
— Molto bene. — La ragazza sorrise a Miscolo. — Grazie — gli disse.
— Non c'è di che, signorina — rispose Miscolo, e tornò nel suo ufficio.
— Sembra un tipo molto gentile — disse Cindy.
Carella scosse la testa. — È un uomo violento. Ha un carattere orribile.
Cindy rise, sollevò la tazza e bevve. Quando tornò a posarla, aprì la borsetta, vi frugò alla ricerca di un pacchetto di sigarette, e stava per metterne una fra le labbra, ma si fermò e chiese: — Posso fumare?
— Certo — rispose Carella, e acceso un fiammifero lo tese alla ragazza.
— Grazie — disse lei. Fumò, bevve ancora un po' di caffè, si guardò intorno e tornò a guardare Carella, sorridendo. — Mi piace il vostro ufficio — dichiarò.
— Bene, mi fa piacere — commentò lui, e dopo una breve pausa chiese: — Perché siete venuta da me, Cindy?
— Ecco... — riprese a fumare, con un po' troppo entusiasmo, come fanno di solito le ragazze molto giovani. — Sabato c'è stato il funerale di mio padre — disse poi.
— Lo so.
— Ho letto sui giornali che è stato ucciso un altro uomo.
— Infatti.
— Credete che l'assassino sia lo stesso?
— Non lo sappiamo.
— Non avete ancora nessuna idea?
— Be', stiamo lavorando.
— Ho chiesto al mio insegnante di psicologia cosa poteva dirmi dei cecchini. L'assassino è uno di quelli che chiamate così, vero?
— È probabile. Che cosa vi ha detto il vostro professore?
— Mi ha risposto di non aver letto molto a questo riguardo e di non sapere se erano stati fatti degli studi specifici sull'argomento, ma che aveva qualche sua idea personale.
— Per esempio?
— Secondo lui, un assassino del genere è spinto dal ricordo infantile del fatto primario — disse Cindy.
— Il fatto primario — ripeté Carella.
— Sì.
— E che cosa sarebbe?
— L'aver assistito ai rapporti tra i genitori — rispose Cindy, senza alcun imbarazzo.
— Ah, capisco.
— Il mio professore dice che ogni bambino è spinto a guardare senza farsi vedere. Da grande, un cecchino si arma del fucile come di un simbolo, e di solito, servendosi di un mirino telescopico, ripete il gesto furtivo della sua infanzia: vedere senza esser visto, fare qualcosa senza essere scoperto.
— Capisco — ripeté Carella.
Cindy posò la sigaretta nel portacenere, e fissando Carella con occhi innocenti domandò: — Voi cosa ne pensate? — Be'... non saprei... — disse Carella.
— Nella polizia non avete uno psicanalista?
— Sì, certo.
— Perché non chiedete a lui cosa gliene pare?
— Questo lo si fa con buon risultato soltanto alla televisione — rispose Carella.
— Non vi sembra importante sapere che cosa spinge un uomo al delitto?
— È importantissimo. Ma i motivi sono quasi sempre cose molto complicate. Può darsi che il vostro professore di psicologia abbia ragione per quanto riguarda un particolare cecchino, o anche per diecimila di loro, ma resta sempre la possibilità che ne esistano altri diecimila che uccidono nella stessa maniera pur senza essere mai stati testimoni a... come dite voi, al fatto primario.
— A me sembra impossibile.
— Niente è impossibile in un delitto — ribatté Carella.
Cindy inarcò le sopracciglia in un'espressione dubbiosa. — Mi pare un'affermazione assai poco scientifica, sapete?
— Non lo è affatto — ammise Carella. Non aveva avuto l'intenzione di essere rude, ma subito dopo aver parlato si rese conto di aver usato un tono troppo aspro.
— Scusatemi, non intendevo farvi perdere il vostro prezioso tempo — disse la ragazza, alzandosi. Il suo atteggiamento adesso era decisamente ostile.
— Non avete finito il caffè — osservò Carella.
— Grazie, ma è un caffè pessimo — rispose lei, dritta in piedi alla scrivania, con le spalle erette e uno sguardo di sfida.
— Avete ragione — disse Carella. — È proprio cattivo.
— Sono felice che ci troviamo d'accordo su qualcosa.
— Non mi ero accorto che fossimo discordi su qualcosa — ribatté Carella.
— Volevo soltanto esservi d'aiuto, nient'altro.
— E io ho apprezzato le vostre intenzioni.
— Ma evidentemente mi sbagliavo a pensare che la polizia moderna prendesse in considerazione i fenomeni psicologici di una mente criminale. La mia fantasia mi...
— Andiamo, Cindy! — interruppe Carella. — Siete troppo brava e troppo giovane per prendervela così, a causa di uno sciocco piedipiatti!
— Non sono brava, non sono giovane, e voi non siete sciocco — disse la ragazza.
— Avete soltanto diciannove anni!
— Presto ne avrò venti.
— E perché dite di non essere brava?
— Perché ho visto e imparato troppo.
— Cosa, per esempio?
— Non vi riguarda — scattò Cindy.
— Ma mi interessa.
Cindy prese i suoi libri dalla scrivania e li tenne stretti al petto. — Signor Carella, non siamo più nell'epoca vittoriana, cercate di ricordarvelo.
— Mi ci proverò. Ma perché non mi spiegate ciò che intendevate dire?
— Volevo dire che oggi molti diciassettenni hanno già visto e imparato tutto ciò che c'è da vedere a da imparare.
— Dev'essere una cosa molto triste — commentò Carella. — Se è così, che cosa fa un giovane quando ha diciotto o diciannove anni?
— Va a cercare il poliziotto che gli ha dato per primo la notizia che suo padre è morto — rispose Cindy in tono gelido. — Lo va a cercare sperando di potergli dire qualcosa che lui forse non sa, qualche cosa che gli può essere utile per il suo lavoro; ma come succede sempre quando si ha a che fare con gli adulti, si accorge che lui non vuole nemmeno ascoltare!
— Sedetevi, Cindy. Cosa volevate dirmi del nostro cecchino? Ammesso che l'assassino lo sia, tanto per cominciare.
— Un uomo che ne uccide un altro sparandogli dal tetto di una casa è per forza...
— Non necessariamente — interruppe Carella.
— Ma ha ucciso due uomini nello stesso modo!
— Non sappiamo se è stata la stessa persona a uccidere — precisò Carella.
— I giornali dicono che i due delitti sono avvenuti nello stesso modo e che il calibro del proiettile...
— Cindy, questo può voler dire molto, ma può anche non significare niente.
— Non vorrete sostenere che si è trattato di una coincidenza?
— Intendo dire soltanto che, al punto in cui siamo, bisogna tenere conto di tutte le possibilità. Non volete sedervi? Mi innervosisce parlare con la gente che sta in piedi.
Cindy sedette di colpo e lasciò cadere i libri sulla scrivania. Per essere una diciannovenne che aveva visto e imparato tutto ciò che c'era da vedere e imparare, la ragazza, in quel momento, sembrava, più che altro, una bambina di nove anni.
— Bene — disse — se l'uomo che ha ucciso mio padre e quell'altro uomo è ciò che voi chiamate un cecchino, allora ritengo che dobbiamo prendere in considerazione la possibilità che si tratti di un individuo sessualmente tarato.
— Lo faremo senz'altro.
Cindy si alzò di scatto e cominciò a raccattare per la seconda volta i suoi libri. — State prendendomi in giro, ispettore Carella — disse, furibonda — e la cosa non mi piace affatto!
— Ma non sto prendendovi in giro, sto solo ascoltando quel che mi dite, parola per parola. Ma, per l'amor di tutti i santi, non vi viene in mente che abbiamo già avuto a che fare altre volte con dei cecchini?
— Cosa?
— Ho detto, se non avete mai pensato che la polizia si sia già trovata a dover risolvere dei casi di omicidio, in cui...
— Oh! — disse semplicemente Cindy. Rimise giù i libri e tornò a sedersi accanto alla scrivania. — Non ci avevo pensato. Vi prego di scusarmi.
— Non vi preoccupate.
— Mi spiace veramente. Avrei dovuto pensare che a voi capitano tutti i tipi di delinquenti. Sono desolata.
— Io, invece, sono molto felice che siate venuta qui, Cindy.
— Davvero?
— Non ci capita spesso di ricevere la visita di una bella ragazza vivace come voi — disse Carella. — E, credetemi, quando capita è una novità piacevolissima.
Cindy sorrise, rasserenata. Poi si alzò, strinse la mano a Carella, lo ringraziò, e uscì dal Distretto.
La donna che camminava lungo Culver Avenue non era né giovane né bella né vivace.
Aveva quarantun anni, i capelli troppo biondi, le labbra troppo rosse, e troppo belletto sulle guance. Indossava una gonna nera, tesa, sporca di cipria che lei si era lasciata cadere addosso mentre si truccava. Portava un reggiseno troppo alto e, sopra, un maglioncino bianco, aderentissimo e macchiato. In mano teneva una borsa di pelle nera, e sembrava una prostituta, cioè esattamente quello che era.
In un'epoca in cui le prostitute sembrano, di solito, più indossatrici che commercianti dell'amore, l'aspetto della donna colpiva come un controsenso. Quasi sembrava che, annunciando in modo tanto vistoso la sua professione, volesse in realtà smentire di esercitarla.
La donna aveva avuto una brutta giornata. Oltre che essere una prostituta, o forse a causa di ciò (a meno che non fosse proprio per questo che faceva la prostituta), la donna era anche un'alcolizzata. Si era svegliata alle sei del mattino vedendo gatti e scarafaggi vagare per la stanza, e si era accorta che non c'era più carburante nella bottiglia posata accanto al letto, per terra. Si era vestita in un baleno - perché, di solito, si metteva addosso pochissimi indumenti - ed era scesa in strada. Per mezzogiorno, aveva raccolto il prezzo di una bottiglia, e all'una aveva buttato giù l'ultimo sorso. Si era risvegliata alle quattro del pomeriggio, di nuovo con le sue allucinazioni zooptiche, e di nuovo aveva scoperto accanto al letto la bottiglia vuota. Aveva infilato reggiseno, maglioncino e gonna, si era incipriata la faccia e coperta di rossetto le labbra e le guance, aveva calzato le scarpe nere col tacco a spillo, e adesso stava camminando lungo la sua strada mentre scendeva il crepuscolo.
Tutte le sere passeggiava lì verso il crepuscolo, sobria o ubriaca, perché all'angolo della Culver Avenue con la 14a Strada Nord, c'era una fabbrica i cui operai uscivano alle cinque e mezzo. Qualche volta la donna era abbastanza fortunata da trovare compagnia.
Quella sera si sentiva fortunata.
Chissà, magari il capofabbrica o addirittura un dirigente l'avrebbe vista, si sarebbe istantaneamente innamorato di lei e l'avrebbe portata con sé in un bell'appartamento di un quartiere residenziale, dove lei avrebbe avuto cameriera e maggiordomo.
Era ancora in questo stato d'animo quando il proiettile le attraversò il labbro superiore e le uscì dal collo dopo aver spezzato le ultime vertebre e averle aperto nella carne un grosso foro.
La pallottola si schiacciò contro la facciata di mattoni della casa davanti alla quale la donna cadde, morta.
Il proiettile era un Remington, calibro 308.
VI
È esatto che in democrazia tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge, ma la regola non viene necessariamente applicata a tutti gli uomini morti. C'è una differenza tra un milionario assassinato e un criminale assassinato. Una prostituta non ruba e non ammazza, ma ciononostante si rende colpevole di una violazione alla legge, e nel vocabolario della polizia è una criminale. L'omicidio di Culver Avenue avrebbe sollevato poco più che un tenue interesse, se non fosse stato per il calibro dell'arma usata per commettere il delitto. Grazie al proiettile Remington 308, la donna diventò più importante da morta di quanto lo fosse stata in vita, tanto agli occhi del pubblico che a quelli della legge.
Per quanto riguarda le prostitute, la legge è curiosamente ambigua. Il Codice Penale descrive la prostituzione con ricchezza di particolari, ma, per quanto riguarda la prostituta in sé, non c'è nemmeno una parola. Vengono elencati tutti i modi in cui può aver luogo la prostituzione, tutto ciò che è considerato prostituzione, ma della prostituta nessun articolo se ne occupa. È invece abbastanza chiaro l'articolo che definisce il lenone, del quale il Codice dice: "Individuo di sesso maschile che vive completamente, o in parte, sui guadagni della prostituzione. Un individuo di sesso maschile, il quale conviva con una prostituta e non abbia provati mezzi propri di sostentamento, deve considerarsi uno sfruttatore il quale vive sugli introiti della prostituzione".
Il Codice continua poi con una serie di codicilli, dai quali, volendo, risulta che chiunque può essere considerato colpevole del delitto di prostituzione, in una almeno delle sue molte facce. D'altro lato, volendo, anche il colpevole più evidente può dimostrare di essere del tutto innocente.
Comunque, l'uomo che rispondeva al nome di Harry Wallach era un individuo di sesso maschile che viveva abitualmente con la prostituta Blanche Lettiger, la donna che era stata uccisa con un colpo d'arma da fuoco la sera del 30 aprile. Alla polizia non ci volle molto per trovarlo. Lo sapevano tutti, chi era l'uomo di Blanche. Lo presero il mattino seguente in una piscina della 41a Strada Nord, lo accompagnarono al Distretto, lo fecero sedere e cominciarono a fargli domande. Harry Wallach era alto, con capelli che cominciavano a ingrigire alle tempie, occhi verdi penetranti, e ben vestito. Lui domandò se poteva fumare, quindi accese un sigaro da mezzo dollaro, e si appoggiò allo schienale della sedia, calmo, con un sorriso di superiorità, mentre Carella iniziava l'interrogatorio.
— Che cose fate per vivere, Wallach? — domandò Carella.
— Mi occupo di investimenti — fu la risposta.
— Che genere di investimenti? — chiese Meyer.
— Terreni.
— Avete un agente?
— Sì.
— Come si chiama?
— Adesso è a Miami in vacanza.
— Non vi abbiamo chiesto dove si trova, ma come si chiama.
— Dave.
— Dave e poi?
— Dave Milias.
— Avete detto che è a Miami. Dove, esattamente?
— Non lo so — rispose Wallach.
— Va bene — disse Meyer. — Cosa sapete di una certa Blanche Lettiger?
— Blanche... come?
— Oh, avete intenzione di fare l'ingenuo, vedo. E così?
— Ingenuo? Non capisco. Quel nome non mi dice niente.
— Ah, no? Blanche Lettiger. Convivete con lei in un appartamento all'angolo della Culver Avenue con la 20a Strada Nord. L'appartamento ha il numero 6B, ed è affittato al nome di Frank Wallace. Da un anno e mezzo, voi vivete lì. Adesso, il nome significa qualcosa per voi, Wallach?
— Non capisco di cosa stiate parlando — disse Wallach.
— Forse è lui che l'ha stesa, Steve — disse Meyer.
— Comincio a pensarlo anch'io — convenne Carella.
— Ehi, cosa volete dire? — domandò Wallach.
— Perché vi agitate? Credete che ci interessi un sudicio sfruttatore della vostra risma?
— Io non sono quello che dite — protestò Wallach, con dignità.
— Ah, no? E come lo chiamate voi, il vostro mestiere?
— Non come avete detto voi.
— Quanta delicatezza! — disse Meyer. — L'angioletto non vuol sporcarsi la boccuccia con la parola "sfruttatore". Sentite, Wallach, non fateci fare tanta fatica. E non rendete le cose difficili a voi stesso. Noi ci interessiamo soltanto alla donna.
— Quale donna?
— Razza di... La vostra donna è stata uccisa come un cane, questa notte! Cosa diavolo siete? Un essere umano o cosa?
— Non conosco nessuna donna che questa notte sia stata uccisa come un cane — insistette Wallach. — Non riuscirete a coinvolgermi in un maledetto omicidio. Vi conosco bene, io. Voi state cercando un capro espiatorio. Be', non sarò io, quello.
— Non stiamo affatto cercando un uomo del genere — replicò Carella — ma, adesso che ne avete parlato, mi pare che sia una buona idea. Cosa ne pensi Meyer?
— Perché no? — rispose Meyer. — Questo va bene quanto un altro. E forse meglio.
— Dove eravate ieri sera, Wallach?
— A che ora? — domandò calmo Wallach.
— All'ora in cui la donna è stata uccisa.
— Non so a che ora quella donna sia stata uccisa.
— Verso le cinque e mezzo. Dove eravate?
— Stavo cenando.
— Così presto?
— Io mangio sempre presto.
— Dove avete mangiato ieri sera?
— Al Rambler.
— Dov'è?
— Nella città bassa.
— Nella città bassa, dove? Sentite, Wallach, se avete intenzione di farvi strappare ogni parola di bocca, vi assicuro che potremmo usare sistemi più spicci.
— Lo so. Cosa aspettate a tirare fuori il vostro sfollagente? — ribatté Wallach, calmo.
— Meyer — disse Carella, calmissimo — vai a prendere lo sfollagente.
Calmissimo, Meyer andò alla scrivania in fondo alla stanza, aprì il primo cassetto, ne tolse un tubo di gomma lungo sessanta centimetri, lo fece saltare con la destra sul palmo della sinistra e poi, calmissimo, tornò accanto a Wallach che lo stava guardando.
— Intendevate dire questo, Wallach? — domandò.
— Credete di stupirmi, forse? — ribatté Wallach.
— Con chi avete mangiato ieri sera — domandò Carella.
— Da solo.
— Non abbiamo bisogno dello sfollagente, Meyer. Si è fritto da solo, nel suo stesso olio.
— Questo lo pensate voi — replicò Wallach. — Il cameriere si ricorderà benissimo di avermi visto.
— Dipende da noi — ribatté Carella. — Stiamo cercando un capro espiatorio. Non penserete che ci lasceremo mettere il bastone tra le ruote da un misero cameriere, per caso?
— Confermerà che ero nel ristorante — insistette Wallach, ma aveva perso un po' della sua sicurezza.
— Può darsi — disse Carella. — Ma intanto vi accuseremo di omicidio, Wallach. Naturalmente, non diremo che siete uno sfruttatore. La notizia la serberemo, per spararla al processo. Farà effetto sulla giuria.
— Sentite... — cominciò Wallach.
— Sì?
— Cosa volete da me? Non l'ho uccisa io, lo sapete benissimo.
— Allora, chi è stato?
— Come diavolo faccio a saperlo?
— Conoscevate Blanche Lettiger?
— Naturale che la conoscevo. Volete andare avanti?
— Avevate detto di non conoscerla.
— Scherzavo. Come facevo a sapere che siete tipi da prendere tutto sul serio? Che bisogno c'è di eccitarsi tanto, mi dico!
— Da quanto tempo la conoscevate?
— Circa due anni.
— Faceva la prostituta quando l'avete incontrata?
— State ancora tentando di impegolarmi? Non so che lavoro facesse. Io mi guadagno da vivere occupandomi di investimenti. Convivevo con lei ma tutto finisce qui. Quello che lei faceva o non faceva, era affar suo.
— Dunque non sapevate che era un'adescatrice?
— No.
— Wallach, tra poco vi porteremo dabbasso per schedarvi sotto accusa di omicidio — lo avvertì Carella. — E sapete perché? Perché state mentendo, e ciò è molto sospetto; quindi, a meno che non ci capiti qualcuno che risponda meglio di voi ai nostri desideri, siete nei guai. Vi piace trovarvi nei guai, Wallach? O preferite dire la verità una buona volta, in modo da risultare un onesto cittadino che, per puro caso, fa lo sfruttatore? Cosa decidete, Wallach?
Harry Wallach rimase zitto per qualche minuto. Alla fine disse: — Faceva la prostituta quando ci siamo conosciuti.
— Due anni fa?
— Due anni fa.
— Quando l'avete vista l'ultima volta?
— Sono uscito di casa l'altro ieri sera e non ci sono tornato per tutto il giorno. Ieri non l'ho vista affatto.
— A che ora siete uscito l'altra sera?
— Verso le otto.
— E dove siete andato?
— A Riverhead.
— A far cosa?
Wallach sospirò. — A farmi una bevuta. Vi va bene?
— Blanche era in casa quando voi siete uscito?
— Sì.
— Vi ha detto qualcosa?
— No. Era nell'altra stanza con un tale.
— Gliel'avevate procurato voi il cliente?
— Sì, sì! — Wallach posò il sigaro nel posacenere. — Sto giocando leale, vedete?
— E sarà meglio per voi, Wallach. Parlateci di Blanche.
— Cosa volete sapere?
— Quanti anni aveva?
— Diceva trentacinque, ma ne aveva quarantuno.
— Da dove veniva?
— Da uno Stato dell'Ovest. L'Oklahoma, lo Iowa, non so bene. Uno di quei posti, comunque.
— Quando si è trasferita qui?
— Parecchi anni fa.
— Vi abbiamo chiesto quando.
— Prima della guerra, non so in che anno. Sentite, se volete la sua cronistoria siete capitati male. Non sapevo gran che su di lei.
— Perché si era trasferita qui?
— Per via della scuola.
— Che genere di scuola?
— L'università. Cosa credevate?
— Quale università?
— La Ramsey.
— Si è laureata?
— Non lo so.
— Come mai è diventata una passeggiatrice?
— Non lo so.
— Sapete se era sposata, divorziata, o cosa?
— No.
— Che sapete di lei, Wallach?
— So che era una prostituta in parabola discendente, e io mi sono occupato di lei unicamente per carità, va bene? So che era una seccatura, e che la cosa migliore che potesse capitarle era di beccarsi una pallottola nella testa, va bene? Questo so.
— Siete un tipo simpatico, Wallach.
— Grazie. Anch'io vi trovo irresistibili. Cosa volete da me? Lei sarebbe morta sulla strada già da un anno, se io non le avessi dato una mano. Il mio è stato un atto di generosità.
— Certamente.
— Sì, proprio. Cosa credete, che mi abbia reso milionario? Chi diavolo volete che fosse disposto a spendere per una come lei? Il più delle volte non vedevo nemmeno un centesimo, io. Prima che arrivassi io, aveva già speso tutto in alcol, e anche questo già non c'era più, quando io arrivavo. Credete che fosse divertente? Be', provate.
— Com'è possibile che una ex universitaria si metta a fare la prostituta? — domandò Carella.
— Cosa siete? Un poliziotto o un assistente sociale? In questa città ci sono più prostitute uscite dall'università di quante riuscireste a contarne. Chiedetelo alla Squadra del buon costume.
— Non siamo in buoni rapporti — tagliò corto Meyer. — Avete qualche idea su chi possa averla uccisa?
— No.
— Sembrate contento di esservi liberato di lei.
— E lo sono. Ma questo non significa che l'abbia uccisa io. Lo sapete anche voi che non ho niente a che fare con questa storia. Perché stiamo qui a perdere tempo?
— Avete fretta, Wallach? Vi aspetta un'altra bevuta?
— Perché no?
— Allora dovrete aspettare. Noi abbiamo tutto il giorno a disposizione.
— E va bene, facciamo passare la giornata. Tanto, sono i contribuenti che vi pagano.
— Che cosa ne sapete, voi? Non avete mai pagato una tassa in tutta la vita, perciò state zitto.
— Io pago le tasse regolarmente — protestò Wallach indignato. — Pago tutto quel che c'è da pagare, quindi non dite fesserie.
— E che professione denunciate nell'elencare i vostri redditi?
— Va avanti ancora tanto, questa storia?
— No, torniamo a Blanche. Non l'ha minacciata nessuno? Se fosse successo, lo sapreste?
— E come potrei? I clienti non sono tutti uguali. Certi sono solo dei ragazzi spauriti alla loro prima esperienza, altri sono tipi coriacei ai quali piace cambiare una donna al giorno. In ogni caso c'è sempre qualcosa che non va, in chi frequenta una prostituta.
— Non è uno sfruttatore — commentò Meyer. — È uno psicologo.
— Conosco le prostitute — ribatté con modestia Wallach.
— In compenso, non sapete molto di Blanche Lettiger.
— Vi ho detto tutto quello che sapevo.
— Parlateci delle sue abitudini.
— Abitudini?
— A che ora si alzava al mattino, per esempio?
— Alzarsi al mattino? Ma voi state scherzando!
— Va bene. Nel pomeriggio, allora.
— Di solito si alzava dopo l'una, e alle due cominciava a cercare una bottiglia.
— A che ora si è alzata il giorno in cui è stata uccisa?
Wallach sorrise puntando un indice verso Carella, e disse: — Ah, ah! Vi ho pescato!
— Cosa? — fece Carella.
Sempre sorridendo, Wallach riprese: — Vi ho detto prima che ieri non l'ho vista per tutto il giorno, no?
— Non era una trappola, Wallach.
— Non esiste un poliziotto che non cerchi di tirare in trappola la gente come me.
— Sentite, Wallach — disse Carella — abbiamo già stabilito che voi siete un onesto, probo, insospettabile cittadino, no? Quindi, piantatela di fare lo spiritoso cinico e occupiamoci dei nostri affari. State cominciando a darmi sui nervi.
— Voi non avete certo un effetto tranquillizzante sui miei — ribatté Wallach.
— Cos'è questa? Una commedia dell'arte? — disse Meyer in tono annoiato. — Provatevi a dire un'altra battuta del genere, razza di cimice, e vi spacco la testa.
Wallach aprì la bocca, poi guardò Meyer e la richiuse.
— D'accordo? — urlò Meyer.
— D'accordo, d'accordo — brontolò Wallach.
— Blanche aveva l'abitudine di uscire di casa tra le cinque e le cinque e mezzo?
— Sì.
— Dove andava?
— C'è una fabbrica vicino a casa. E qualche volta qualcuno degli operai era in vena.
— Ci andava tutti i pomeriggi?
— Non tutti, però abbastanza spesso.
— Dov'è la fabbrica?
— All'angolo della Culver con la 14a Strada Nord.
— Così, quasi ogni sera, tra le cinque e le cinque e mezzo, Blanche Lettiger usciva di casa e si avviava verso la fabbrica. Giusto?
— Sì.
— Chi lo sapeva, oltre a voi, Wallach?
— Il poliziotto del quartiere — rispose Wallach, non resistendo al desiderio della battuta. — Forse è stato lui a spedirla al Creatore, che ne dite?
— Sentite, Wallach...
— Va bene, ho capito. Non so chi fosse al corrente. Quello che l'ha uccisa, senz'altro. Per il resto, potevano saperlo tutti quelli che avevano occhi per vedere.
— Ci siete stato di grande aiuto — concluse Carella. — Adesso potete andare all'inferno. Via, sparite.
— Siete riusciti a rovinarmi la giornata — brontolò Wallach. Si alzò, ripulì i pantaloni dalla cenere del sigaro, e stava allontanandosi dalla scrivania quando Meyer gli appioppò un calcio nel fondo della schiena. Wallach non si voltò nemmeno.
VII
Per il momento, la polizia non aveva ottenuto nessun risultato concreto, nella soluzione dei tre omicidi.
Quel mattino, dopo che Wallach se ne fu andato, cercarono di rimediare in qualche modo, con una telefonata a Samuel Gottlieb dello studio Gottlieb, Graham e Norden, e chiesero al socio anziano di quante e quali cause penali si fosse occupato Randolph Norden, da quando era entrato a far parte della ditta. L'avvocato rispose che le cause erano state quattro, diede subito i nomi di tutti e quattro i clienti, e specificò quali erano stati assolti e quali condannati. In seguito, venne fatta una eguale telefonata a tutti gli altri studi legali presso cui Norden aveva lavorato, secondo l'elenco fatto dalla vedova. Alle undici tutte le telefonate erano state fatte e la polizia aveva adesso una lista di dodici individui il cui processo si era concluso con una condanna nonostante la difesa di Randolph Norden. L'elenco venne mandato al locale ufficio di investigazione criminale con la richiesta di informazioni per ognuno dei dodici condannati; dopo di che Carella e Meyer montarono in macchina e filarono alla Ramsey University, dove speravano di scoprire qualcosa su Blanche Lettiger, la prostituta uccisa.
Gli edifici dell'università sorgevano in pieno centro, alla fine di Hall Avenue, e si estendevano sino ai limiti del quartiere cinese. Lungo la strada che fronteggiava l'università c'era una mostra di dipinti moderni. Carella parcheggiò la macchina in un punto dove era vietato il parcheggio, ribaltò contro il parabrezza la visierina parasole con la scritta "Agente in servizio", poi passò con Meyer in mezzo ai quadri allineati sul marciapiede. Pareva che quell'anno fossero in voga i paesaggi marini. L'autore di tutta quell'arte equorea sbirciava ogni passante sorridendo speranzoso, nel tentativo di sembrare disinvolto pur nella incomoda posizione di artista-mercante.
Meyer lanciò qualche occhiata alle marine, e poi si fermò davanti a un quadro "di movimento" fatto di alcune nette parallele nere su fondo bianco, con due punti rossi in un angolo. Scosse la testa e riprese a camminare accanto a Carella.